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“I due poliziotti” di Lino Iannuzzi

I due poliziotti

di Lino Iannuzzi

La storia delle vite parallele di Bruno Contrada e di Gianni De Gennaro – Caino, maledetto Caino – Avevo pronta la pistola con il colpo in canna, poi ho guardato la fotografia di mio figlio in divisa di poliziotto e non mi sono più sparato – Morirò qui dentro, in carcere

In basso è presente anche la versione stampabile in formato DOC.

Un singolare destino accomuna i due poliziotti,Bruno Contrada e Gianni De Gennaro. Un destino crudele e beffardo. Crudele per Contrada,la vittima, beffardo per De Gennaro, il carnefice. La carriera di Gianni De Gennaro è cominciata la vigilia di Natale del 1992, quando ha fatto arrestare il suo collega Bruno Contrada, e termina oggi, proprio quando le porte del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere si sono chiuse,forse per sempre,dopo 15 anni di processi,alle spalle di Contrada.: “Avevo pronta la pistola con il colpo in canna – mi ha detto Contrada,seduto sulla branda della cella – poi ho guardato la fotografia di mio figlio con la divisa della polizia,e non mi sono sparato. Morirò qui dentro,è come fossi già morto”. Il “morto” Contrada ha afferrato il vivo De Gennaro e l’ha consumato:la loro storia è cominciata insieme, e insieme finisce.

Era già stato scritto, come in un racconto di Borges. “Caino, sia maledetto Caino”, aveva urlato Adriana, la moglie di Contrada, nella stanza dell’ospedale di Palermo,dove avevano trasportato d’urgenza il marito, svenuto nell’aula del tribunale quando il pm aveva introdotto l’ennesimo “pentito” che lo accusava di intelligenza con la mafia. Bruno Contrada aveva riaperto gli occhi nella sala di rianimazione, aveva gridato: “Vogliono annientarmi…”, aveva implorato che lo lasciassero morire, aveva tentato di impadronirsi della pistola del carabiniere di guardia, aveva strappato dalle mani dell’ infermiere la siringa infilandosela nel collo… E’stato in quel momento che la donna piccola e minuta ha preso a urlare: “Caino, maledetto Caino, è Caino che me lo ha ammazzato…”.

“Caino – ha spiegato ai giornalisti che,richiamati dalle urla, le si affollavano intorno Adriana Del Vecchio,insegnante di lettere e latino in pensione – è un collega di mio marito, è lui che ha voluto che Bruno finisse in carcere. E’qualcuno che ha capito che la Sicilia e la mafia potevano essere usate come trampolino di lancio per fare carriera. Ma non ha trovato il campo libero,perché davanti a lui, molto più avanti per anzianità e nei ruoli, c’era Bruno Contrada. Doveva eliminarlo, è lui l’autore della congiura, è lui che ha arruolato e ha imbeccato i ‘pentiti’ che lo accusano…”. La maledizione di Adriana ha accompagnato Gianni De Gennaro, come l’ombra di Banco, per tutti questi lunghi 15 anni della sua brillante carriera e l’ha atteso, paziente e inesorabile, sulla soglia del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.

 

Le lotte di potere in seno agli apparati dello Stato – Come è nata la Dia, la nostra polizia politica, e come De Gennaro se ne è impadronita – La fabbrica dei ‘pentiti’ – I processi politici mascherati da processi antimafia

Bruno Contrada è stato il più famoso poliziotto di Palermo, la memoria storica della lotta alla mafia, uno spietato cacciatore di mafiosi, quando non c’erano ancora i “pentiti” e le intercettazioni ambientali, quando bisognava sporcarsi le mani con i “confidenti”, rischiando ogni giorno la vita e l’onore: ogni giorno si poteva venire uccisi dalla mafia assieme al confidente,o venire disonorati dall’antimafia con l’accusa di essere il confidente del confidente. Gianni De Gennaro ha fatto fuori Contrada quando questi era già passato al Sisde e aveva preparato per incarico del governo il progetto di trasformare il servizio segreto civile in una direzione antimafia. De Gennaro, allora dirigente della squadra mobile, aveva un altro progetto, caro a Luciano Violante e ai giustizialisti del Pci e ai magistrati professionisti dell’ antimafia, quello di organizzare la Dia, una direzione antimafia svincolata dai servizi e dalla stessa direzione generale della polizia e dal governo: quella che presto il presidente Cossiga avrebbe definito, chiedendone la soppressione, “la nostra ‘polizia politica’, la nostra Ovra, la nostra Gestapo, il nostro Kgb”, lo strumento più efficace per liquidare gli avversari con l’uso e l’abuso dei “pentiti” e dei processi politici. Liquidato Contrada e il suo progetto, De Gennaro creò la Dia e ne assunse il controllo, e inventò la “fabbrica dei pentiti”, divenne il “Signore dei “pentiti”. De Gennaro è stato l’artefice vero della macelleria politica in nome dell’antimafia,più di Luciano Violante, più dei magistrati professionisti del giustizialismo. Come avrebbe potuto Luciano Violante liquidare gli avversari politici con la commissione parlamentare antimafia; come avrebbero potuto le procure indagarli e i giudici di Palermo processarli, se De Gennaro, il suggeritore, non avesse fornito a getto continuo all’uno e agli altri i “pentiti”? Come avrebbero potuto processare Contrada, il suo collega che gli dava ombra, e dopo di lui i politici, Andreotti e Mannino e Musotto e i magistrati garantisti, Corrado Carnevale e Barreca e Prinzivalli, e poi naturalmente Berlusconi, indagato per riciclaggio e per strage, e Marcello Dell’Utri, che è ancora sotto processo, e tutti gli altri, se De Gennaro, il regista, con la Dia non avesse reclutato, addestrato e pagato i “pentiti” per accusarli?

 

De Gennaro soffia Buscetta a Contrada e lo riporta in Italia – Le due facce e i due verbali di Buscetta – E’il boss Riccobono che fa da confidente a Contrada oppure è Contrada il confidente di Riccobono?

 

Il primo “pentito” su cui De Gennaro mette le mani è, niente di meno, Tommaso Buscetta. Contrada è ancora in piena attività di servizio ed è proprio lui che ha scovato Buscetta in Brasile, lo ha contatto attraverso un suo collaboratore, il capo della squadra mobile Ignazio D’Antone, poi passato anche lui al Sisde, e si appresta a recarsi di persona a prelevarlo per portarlo in Italia. De Gennaro lo precede, gli soffia Buscetta, come gli soffierà il progetto della direzione antimafia,lo porta in Italia e lo consegna a Giovanni Falcone. Lo consegna per modo di dire, perché Buscetta rimarrà sempre e soprattutto nelle mani di De Gennaro, per tutto il tempo che resterà in Italia,e anche quando, dopo il maxiprocesso, sarà spedito negli Stati Uniti, sotto la sorveglianza dei Marshall. Buscetta rimarrà sempre sotto il controllo e la gestione di De Gennaro, che non lo molla per un momento,e lo presta a Falcone, prima, a Violante e a Caselli, otto anni dopo, solo dopo averlo confessato e comunicato, ed essere sicuro di ciò che il “pentito” dirà e di ciò che non dirà. Buscetta non è di Falcone, non è di Violante o di Caselli, Buscetta è di De Gennaro, e guai a chi glielo tocca. De Gennaro è discreto,non compare, sta sempre dietro le quinte,e tace. Come il ventriloquo, De Gennaro parla per bocca di Buscetta, come parlerà, e accuserà e fare processare e farà condannare, con la voce di tutti gli altri “pentiti”.

Tanto per cominciare, De Gennaro, prima ancora di consegnargli Buscetta, metterà in guardia Falcone: non fidarti di Contrada, gli dice, Buscetta mi ha confidato che Contrada a Palermo è in combutta con Cosa Nostra, in particolare è il “confidente” del boss Rosario Riccobono. In realtà, Buscetta a Falcone, nel corso dei lunghi e riservatissimi interrogatori(se ne conoscerà il contenuto soltanto dopo mesi e solo al maxiprocesso:proprio come(non)è avvenuto e(non)avviene oggi, con i presunti “eredi” di Falcone,tutto è già sui giornali il giorno dopo)dirà, farà verbalizzare e firmerà il contrario: è Rosario Riccobono il confidente di Contrada e non viceversa, la mafia lo sa o lo sospetta, al punto che nell’ambiente parlano di Riccobono come dello “sbirro” (e presto lo uccideranno).

Sarà solo molti anni dopo, e dopo l’assassinio di Falcone, che Buscetta, ripescato da De Gennaro negli Stati Uniti, dove Falcone l’aveva spedito dopo il maxiprocesso, interrogato dagli “eredi” di Falcone che indagano su Contrada, cambierà radicalmente versione: è Contrada, dirà, che fa il confidente di Riccobono, lo informa delle indagini su di lui e lo avverte in anticipo delle retate predisposte per catturarlo(confrontare i due verbali di interrogatori, firmati da Buscetta a quasi dieci anni di distanza, per credere!) E’ solo un gioco di parole, uno scambio di ruoli tra il boss e il poliziotto, il soggetto che diventa complemento oggetto e viceversa: ma basterà a fare di Contrada un rinnegato. Richiesto di spiegare perché ha letteralmente ribaltato,a distanza di otto anni,le sue dichiarazioni, e ha detto a Caselli esattamente il contrario di ciò che aveva detto a Falcone, Buscetta risponde: “Quel verbale del 1984 fu una imposizione di Falcone. Io non volevo farlo, fu lui a costringermi. Il dottor Falcone,che mi aveva sempre interrogato da solo e scriveva personalmente il verbale, quel giorno mi propose di fare assistere all’interrogatorio il commissario Ninni Cassarà. Io rifiutai dicendo che non mi fidavo della polizia di Palermo, ché c’era corruzione e legami con Cosa Nostra: Falcone allora mi chiese di fare i nomi,e io di nome in nome arrivai pure a Contrada. Falcone insistette che bisognava verbalizzare. C’era grande tensione e il verbale venne così, era nato male…”. A questo punto, gli domandano perché, una volta che era stato costretto a parlarne, non aveva detto a Falcone di Contrada tutto quello che dirà, otto anni dopo, a Caselli. E Buscetta si giustifica così: “Effettivamente Falcone, che io stimavo, non approfondì l’argomento. C’è stata forse una manchevolezza da parte sua. Si vede che, se manca qualcosa fu Falcone che non fece le domande…”. Insomma, se Buscetta non accusò Contrada a Falcone, fu perché Falcone non gli fece la domanda giusta. Otto anni dopo, la domanda giusta gliel’ha fatta Caselli, e Buscetta gli ha finalmente risposto a tono, inguaiando Contrada.

Ignazio D’Antone sarà a sua volta punito per essersi permesso di contattate Buscetta in Brasile prima di De Gennaro:accusato a sua volta di intelligenza con la mafia, processato e condannato in via definitiva ancor prima di Contrada, è già da tempo rinchiuso nel carcere militare dove l’ha appena raggiunto Contrada. D’Antone venne anche coinvolto, e Contrada attraverso di lui, nell’attentato subito da Falcone nella sua casa all’Addaura. Si insinuò che lui, o chi per lui, avesse fatto sparire le prove che l’attentato poteva essere mortale. Era un tentativo di coinvolgere Contrada in qualcosa di ben altra portata che non fossero gli intrallazzi con i confidenti: come l’accusa che Contrada fosse stato personalmente presente sulla scena dell’attentato di via D’Amelio che costò la vita a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Contrada come il servizio segreto deviato dalla massoneria e dai “sistemi criminali” che, per conto di Giulio Andreotti, ammazza Falcone e Borsellino e con le stragi distrugge la prima Repubblica, per far posto a Marcello Dell’Utri e a Silvio Berlusconi. Il processo a Contrada doveva essere la prova generale del processo a Andreotti, il processo a Andreotti non per associazione mafiosa, come fu, ma per strage e complotto contro la Repubblica. Ma questa è un’altra storia,la pista principale poi abbandonata, e se ne parlerà in un’altra puntata.

 

Totuccio Contorno doveva essere negli Stati Uniti, ma lo trovano in Sicilia,nel triangolo della morte,in mezzo a 17 cadaveri – Come e perché Luciano Violante per difendere De Gennaro ricatta Giovanni Falcone

De Gennaro mette le mani anche sull’altro “pentito” del maxiprocesso, Salvatore Contorno. Anche Contorno è, o dovrebbe essere, negli Stati Uniti, sempre spedito per precauzione da Falcone,e sotto la protezione della polizia americana. Ma non è così. Il 26 maggio 1989 Contorno viene sorpreso,a fatica e con sorpresa riconosciuto, e catturato dalla squadra mobile di Palermo in Sicilia, a migliaia di chilometri di distanza dal New Jersey, in un casolare e insieme a un suo cugino e a un gruppo di fuoco di picciotti armati di lupara e di mitra, nel triangolo della morte Bagheria-Altavilla-Casteldaccia, dove nei giorni precedenti sono stati ammazzati diciassette mafiosi, uno al giorno, e tutti appartenenti alle cosche dei “corleonesi”, nemici di Contorno e di suo cugino.

Chi li ha ammazzati? Cosa ci fa Contorno in Sicilia? Perché ha lasciato la protezione americana ed è tornato segretamente in Sicilia, all’insaputa della stessa polizia di Palermo? Chi lo ha chiamato? Chi lo ha protetto? Non si sa niente, non si capisce niente, finché alla commissione antimafia arrivano le bobine delle intercettazioni delle telefonate intercorse tra Contorno, proprio quando si trova in Sicilia, e De Gennaro, che all’epoca è già vicecapo della Dia. Non solo De Gennaro nelle telefonate mostra di conoscere perfettamente i movimenti del “pentito”, ma Contorno al telefono gli parla confidenzialmente e gli dà del “tu”, e lo sbirro gli chiede insistentemente se “ci sono novità”. Ce ne sarebbe già quanto basta per sospendere De Gennaro dal servizio e per sottoporlo al procedimento disciplinare, se non addirittura a un processo penale con l’accusa di favoreggiamento e di mandante di “assassinii di Stato”.

Invece, per interrogare Contorno si riunisce in seduta segreta un comitato ristretto della commissione parlamentare antimafia, e di esso entra a far parte Luciano Violante, che all’epoca è vicepresidente della commissione. I verbali di questa riunione sono tuttora stranamente “segretati”, ma chi li ha letti ha scoperto che Violante per l’occasione non si è limitato a difendere a spada tratta De Gennaro(come ha sempre fatto e fa anche oggi che De Gennaro è stato licenziato), ma ha assediato Contorno di domande tanto documentate di notizie che al momento potevano conoscere solo De Gennaro e lo stesso Contorno, quanto oblique e capziose, nel tentativo di fargli ammettere che a conoscenza della sua fuga dagli Usa e del suo ritorno in Sicilia non era stato solo De Gennaro, ma lo sapeva (e magari l’aveva autorizzato)anche Giovanni Falcone, all’epoca alla direzione degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia. Con un obiettivo fin troppo scoperto: quello di trasferire le responsabilità dell’affare da De Gennaro a Falcone, che da quando collabora con il ministro Claudio Martelli e con il presidente del Consiglio Giulio Andreotti è considerato da Violante e dai suoi amici un “traditore”. E’un ricatto: prima di punire De Gennaro, dovete infamare e dovete far fuori anche Falcone. Esattamente come Violante farà molti anni dopo,in occasione della “macelleria messicana” al G8 di Genova. Membro del comitato parlamentare che deve indagare (quando si indaga su De Gennaro, nell’organismo che deve indagare c’è sempre lui) Violante sostiene che,qualsiasi cosa sia successo a Genova, “la responsabilità è politica e non amministrativa”, e che “il dottor De Gennaro ha rivestito un ruolo importante nella difesa della democrazia italiana”. Morale: De Gennaro è intoccabile, e il responsabile di quanto è successo a Genova non è il capo della polizia, ma il ministro dell’Interno,che è il forzaitaliota Scajola.Da allora Scajola, graziato per i fatti di Genova assieme a De Gennaro, non farà che difendere e lodare il suo capo della polizia. Fino ad oggi, fino a quando De Gennaro sarà destituito, Scajola continuerà a difenderlo e a lodarlo pubblicamente in ogni occasione. Ricattato da Violante per conto di De Gennaro, Scajola è rimasto grato per la vita ai suoi ricattatori.

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