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L’arresto

Nella primavera del 1984 Contrada da più di due anni aveva lasciato gli uffici della Polizia ed era Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario De Francesco.
Come avrebbe potuto conoscere i tempi ed i luoghi di un’azione di polizia, se da due anni non ne faceva più parte?!

Il 23 marzo del 1993 Rosario Spatola, interrogato negli uffici della Criminalpol a Roma, riferisce di un episodio svoltosi nel ristorante “Il Delfino” a Sferracavallo, una località vicino Palermo. Riferisce cioè di aver visto il dott. Contrada mangiare in compagnia del capomafia Riccobono in una saletta riservata del ristorante. Però, poiché egli non conosceva il dott.Contrada, dice di essere andato a mangiare al menzionato ristorante insieme ai fratelli Di Caro, massoni, suoi amici, che glielo avrebbero indicato come “fratello”.

Non solo i fratelli Di Caro al processo hanno smentito quanto affermato dallo Spatola, ma la saletta riservata del ristorante è risultata non essere mai esistita.

Interrogato di nuovo, questa volta negli Uffici della Procura della Repubblica a Palermo dai Magistrati della Procura di Palermo, lo Spatola non parla più di saletta riservata, ma di luogo appartato, indicando come tale una parte della sala non solo sopraelevata rispetto alla rimanente parte della sala medesima, ma ubicata in prossimità dei W.C.

Il dott. Contrada, conosciutissimo nella zona, ed il capomafia Riccobono sarebbero stati seduti, quindi, su un specie di palcoscenico e per giunta tra le due porte di accesso ai servizi igienici, con buona pace per la riservatezza!

Perché non è stato sentito nel corso delle indagini il proprietario del ristorante, che avrebbe così potuto subito smentire Spatola, come ha fatto poi al processo?
Prima, durante e dopo l’arresto del dott. Contrada occorreva valutare le propalazioni dei ”pentiti” alla luce di accurati riscontri che andavano effettuati con sollecitudine e con molta ponderazione, e ciò vale non solo per il dott. Bruno Contrada, ma per ogni cittadino! In particolare poi per Il dott. Contrada, perchè ciò andava fatto non nell’ interesse del dott. Contrada stesso, ma nell’interesse dello Stato, essendo le accuse rivolte contro un uomo delle Istituzioni che fino ad allora e per trent’anni il dr.Contrada aveva degnamente rappresentato.

Era in gioco, infatti, la credibilità delle Istituzioni stesse, specialmente se si tiene conto della strenua difesa operata nei confronti di Bruno Contrada da parte dell’allora Capo della Polizia, Prefetto Vincenzo Parisi, sia al momento dell’arresto sia al processo, dove era stato chiamato a testimoniare in qualità di teste dell’accusa.

A questo punto è di obbligo fare un’importante riflessione:

Mutolo, Buscetta e Marchese accusano il dott. Contrada di fatti commessi prima del 28 settembre del 1982, giorno in cui entra in vigore la legge n. 646 del 13/9/82, che inserisce nel c.p. l’art. 416 bis, che prevede il reato di associazione di tipo mafioso. Se non fosse intervenuta la dichiarazione di Spatola, dalla quale risultava che il dott. Contrada aveva agito di concerto con i boss mafiosi anche dopo tale data, al Contrada non avrebbe potuto essere contestato il grave reato previsto dal menzionato articolo 416 bis poichè, come è noto, nessuno può essere punito per un fatto se non è previsto espressamente dalla legge come reato. Occorreva dimostrare, quindi, per poter contestare a Contrada quel reato, che egli aveva agito di concerto con i boss anche dopo il 28 settembre 1982.

Sulla base di queste dichiarazioni il 24 dicembre del 1992 il dott.Contrada, funzionario che godeva di tutta la stima dei suoi superiori, viene accusato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, arrestato e su ordine della Procura di Palermo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere .

Alle propalazioni dei primi quattro “pentiti”, dopo l’arresto del dott. Contrada e fino alla data di inizio del processo, si aggiungono quelle di altri collaboranti.

A parlare sono altri “pentiti” e precisamente: Francesco Marino Mannoia,Salvatore Cancemi e Pietro Scavuzzo.

Franceso Marino Mannoia conferma le accuse di Mutolo. Egli sostiene genericamente:

– che il dott. Contrada era amico di Riccobono;

– che aveva rapporti con Bontate;

– che Angelo Graziano gli aveva messo a disposizione un appartamentino.

In proposito occorre evidenziare che il Mannoia, pentitosi nel 1989, inizia a parlare del dott. Contrada soltanto il 24 gennaio del 1994.

Successivamente, però, è emerso che questo “pentito” era già stato sentito sul dott. Contrada nel corso di interrogatori condotti separatamente il 2 e 3 aprile 1993 a New York dalle Procure di Caltanissetta e di Palermo, che indagavano su omicidi eccellenti avvenuti in Sicilia, e che a tutti i Magistrati in quelle due circostanze il Mannoia aveva dichiarato di non sapere nulla su Contrada.

Solo al terzo interrogatorio, condotto nove mesi dopo dai procuratori di Palermo, il “pentito” ha improvvisamente “ricordato”.

Ebbene dei due primi verbali non è stata fatta parola al processo.

Hanno dimenticato evidentemente i Pubblici Ministeri che il Codice prescrive che le procure raccolgano anche le prove che possano scagionare gli imputati.

Salvatore Cancemi dichiara:

– che il dott.Contrada era “nelle mani” di Stefano Bontate;

– che nel 1959 aveva favorito la pratica per il porto d’armi di Stefano Bontate;

– che si era prodigato per fargli riavere la patente.

Non era materialmente possibile che il dott. Contrada favorisse la pratica per il rilascio del porto d’armi (pistola per difesa personale e fucile per uso caccia) a Stefano Bontate, perché questi aveva ottenuto il porto d’armi nel 1960, cioè prima che il dott.Contrada prendesse servizio a Palermo, dove arrivò soltanto alla fine del 1962.