di Dimitri Buffa da OPINIONE.IT
Piero Milio, ex senatore della lista Pannella, è il difensore storico di Bruno Contrada, l’alto funzionario di polizia e dei servizi segreti che dal 1992 i giudici di Palermo e i pentiti di mafia tentano di incastrare con accuse sempre più inverosimili, con una tragica alternanza di verdetti favorevoli e sfavorevoli. In questa intervista Milio racconta la vera palingenesi di questa maledetta accusa di mafia che infanga un servitore dello stato a cui favore nel processo di primo grado testimoniarono ben sei capi di polizia .
Avvocato Milio, come è possibile che in Italia si possa venire giudicati da un giudice che già si è occupato del caso di un imputato in altra fase dell’indagine, come è avvenuto, solo per restare ai casi noti, sia a Corrado Carnevale sia al suo assistito Bruno Contrada?
“In Italia alla pubblica accusa tutto è possibile. Anche al di fuori delle leggi. Di fatto quello che lei dice è avvenuto e getta una pessima luce su questo tipo di processi per mafia che si basano solo sulla parola di pentiti che nel caso di Contrada avevano interessi vendicativi ben precisi oltre che forse quello di ostacolare le sue indagini.”
Ma la procedura penale non è una scienza esatta?
“Spesso no. E a Contrada è accaduto anche quando si è trattato di acquisire la testimonianza di giudici svizzeri che si erano occupati del suo caso. La legge vieta di assumere quelle testimonianze e magari esistono anche provvedimenti nella fase istruttoria che riconoscono questa anomalia, dopodichè il giudice di merito fa quello che gli pare. E mi ricordo che la stessa autorità svizzera dubitava dell’utilizzabilità delle testimonianze di magistrati che avevano costituito l’ufficio giudiziario. Ovviamente è inutile che le dica che queste circostanze spezzano non una ma due lance sull’altare della separazione delle carriere dei giudici.”
Ma Contrada secondo lei perché è finito in questo gorgo?
“Lui mi ha spesso confidato che i pentiti avevano il disegno di fermarlo prima che potesse catturare il super latitante Bernardo Provenzano. Di fatto questo è quello che è successo e gli uomini che lavoravano con Contrada in quel maledetto 1992 sono tutti concordi nell’affermare che la squadra del Sisde era ormai a due settimane dallo stringere il cerchio attorno a Provenzano.
Poi provvidenzialmente arrivarono questi pentiti e alcuni magistrati ci sono cascati con tutte le scarpe..”
Insomma, la forma è sostanza e poi i risultati si vedono?
“Non c’è dubbio, dal lato procedurale ormai sia i pubblici ministeri sia i giudicanti fanno esattamente quello che vogliono, contando su una sorveglianza molto pigra e distratta sia da parte dei giudici di merito sia da parte di quelli che si occupano del diritto.
Come la stessa Cassazione.”
C’è prova documentale nel processo Contrada che lui si stava occupando della cattura di Provenzano?
“Non lo poté negare neanche il prefetto Luigi Rossi che era sottosegretario all’interno dell’allora governo Dini. Poi ci sono le testimonianze del funzionario di polizia Roberto Scotto che fu uno di quelli che ebbe le informazioni dallo stesso Contrada.”
In cosa consisteva l’attività di Contrada?
“Senza l’ausilio di pentiti o informatori erano riusciti a identificare i due figli di Provenzano e la scuola dove andavano. Inoltre avevano visto che uno di loro ci si recava in bicicletta e avevano iniziato a pedinarlo discretamente. Infine avevano registrato le voci dei ragazzi e dall’inflessione dialettale avevano già identificato la zona di Palermo dove potevano vivere.. Come le dicevo, ancora due settimane e qualcosa nella rete ci cadeva.. invece arrivarono questi pentiti, tra cui uno che aveva molto interesse a vendicarsi di Contrada che lo aveva fatto arrestare più volte come mafioso.. Inoltre a metà del dicembre del 1992 la squadra di Contrada fu sciolta e io credo che ciò avvenne perché già era stato preparato il suo arresto”.
Ce la farà Contrada a dimostrare la sua innocenza?
“Non me la sento di essere ottimista. Lui sembra destinato alla condanna di venire condannato fin dall’inizio, magari per fare quadrare un teorema. Al suo vice Ignazio D’Antone lo hanno già rovinato, solo per colpire lui. Dieci anni definitivi e adesso sta all’ospedale di Santa Maria Capua Vetere ridotto una larva. E pensi che lui si fidò di chi gli disse che ai pubblici ministeri non andavo bene io come difensore e arrivò a cambiare avvocato prendendosi Luigi Li Gotti, quello che difende i pentiti. Tra cui i suoi stessi accusatori. E oggi D’Antone ha sulle spalle dieci anni definitivi per le stesse accuse che cercano di affibbiare a Contrada. Purtroppo il gioco di queste indagini è questo e non è certo dei più puliti..”
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