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Testimonianza: Dott. Antonino Caponnetto

a) La stretta di una mano sporca

Il Giudice Giovanni Falcone non avrebbe mai teso e stretto la mano ad un uomo da lui disprezzato. Ne sono convinto avendo conosciuto il suo carattere, il suo temperamento, il suo modo di pensare e di agire.

Rimasi, perciò, incredulo e rattristato quando il 19 maggio 1995, il Consigliere Antonino Caponnetto, il mitico “papà” del pool antimafia, non caduto come i suoi “figli” Falcone e Borsellino, venne da me chiamato quale testimone della difesa al processo innanzi il Tribunale e disse:

“….. quella sera in cui interrogammo il dott. Contrada per l’omicidio Mattarella, quando si alzò, gli demmo entrambi la mano. Il dott. Contrada uscì. Mi è rimasto impresso questo gesto di Falcone che appena uscito il dott. Contrada, proprio ostentatamente, proprio, si pulì le mani nei pantaloni……” (pag. 13 verb. Ud. 19-5-1994 processo Trib. PA)

Nessuno potrà mai confermare o smentire il fatto descritto dal teste: né il dott. Falcone, caduto nella lotta contro la mafia, né io perché il gesto sarebbe stato compiuto in mia assenza o alle mie spalle. Non c’erano altri.

Infatti, secondo il racconto dell’alto magistrato, nella circostanza non c’erano altri se non lui stesso, il dott. Falcone ed io. Quale era questa circostanza? La verbalizzazione nell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo di mie dichiarazioni, quale Ufficiale di polizia giudiziaria, circa indagini svolte sull’omicidio del Presidente della Regione Siciliana on. Piersanti Mattarella.

Chi mai avrebbe potuto mettere in dubbio la parola di quel testimone, venerato e consacrato sull’altare laico della lotta contro la mafia?

Eppure ci fu qualcuno che sembrò farlo: il Presidente del Tribunale che fece rilevare che dagli atti risultava che quella verbalizzazione non era stata fatta dall’Ufficio Istruzione ma dal Procuratore della Repubblica di Palermo, dott. Vincenzo Paino, in persona, alla presenza del Consigliere Istruttore dott. Caponnetto.

Il dott. Falcone non c’era.

Cosa obiettò il testimone alla opportuna osservazione del Tribunale? Che quel gesto, allora, il dott. Falcone doveva averlo compiuto in altra occasione!

Altra occasione o circostanza che non è emersa nella istruttoria dibattimentale, soltanto e semplicemente per il fatto che mai il dott. Caponnetto ed il dott. Falcone, insieme, avevano mai verbalizzato mie dichiarazioni, così come, sotto il vincolo del giuramento o della responsabilità, aveva testimoniato nel mio processo l’alto magistrato.

Oggi, con umana e cristiana pietà e nel contempo con più che giustificata e altrettanta umana indignazione, non posso non considerare che anche per queste accuse – se queste sono accuse meritevoli di entrare in un processo penale – io sono stato carcerato per alcuni anni, processato, condannato e sottoposto ad un calvario giudiziario che non è ancora finito.

Ho meditato a lungo sull’episodio processuale e sono giunto, in verità con tristezza, alla conclusione che anche se il fatto fosse realmente accaduto, sarebbe stato meglio tacerlo per rispetto alla memoria di chi ha dato esempio agli altri in vita e nella morte.

b) Insanabili contraddizioni: falsa dichiarazione, errato ricordo o mancata verbalizzazione? Buscetta disse……….

Tommaso Buscetta, il 18 settembre 1984, dichiarò al dott. Caponnetto, allora Consigliere Istruttore ed al dott. Falcone, allora Giudice Istruttore:

” Le SS.LL. mi chiedono se mi risulta che organi preposti alla repressione del fenomeno mafioso siano in qualche modo collusi con “Cosa Nostra”. Posso dire che a me risulta che a Palermo gli organi di polizia hanno fatto sempre il loro dovere”.

Risposta chiara, esaustiva, inequivocabile che fu verbalizzata e sottoscritta dai due Magistrati nonché dal pentito Masino Buscetta.

Ma al mio processo, il testimone dott. Caponnetto dichiarò cosa del tutto diversa anzi contraria a ciò che Buscetta aveva detto. Ecco la testimonianza: “Io so che Buscetta, sia pure con evidente riluttanza, accennò in quel nostro incontro (cioè il 18.9.1984), a complicità e a corruzioni tra i personaggi della Questura di Palermo, senza fare nomi però, non volle fare nomi…..”

Anche in questo caso, come era accaduto per l’episodio della stretta della mano “sporca”, intervenne il Presidente per fare rilevare che in quella testimonianza c’era qualcosa che non andava bene: “……lei ha riferito che Buscetta parlò con voi di diffusa corruzione all’interno della Polizia….. mentre invece nel verbale, che lei ha detto poco fa che riproduce fedelmente il colloquio si dice: – “posso dire che a me risulta che a Palermo gli organi di Polizia hanno fatto sempre il loro dovere” -.

A questo opportuno rilievo del Presidente del Tribunale, che anticipò l’intervento in proposito della mia difesa, cosa disse il teste per giustificare tale palese e insanabile contraddizione? Qualcosa che appare invero del tutto inconciliabile con un doveroso e corretto comportamento dei Magistrati inquirenti. Con tanti “se”, “ma”, “non so”, “può darsi”, “non ricordo”, “forse” etc…..l’alto Magistrato, che aveva ricoperto dal 1983 al 1988 quell’ufficio che era stato di Rocco Chinnici, dilaniato dall’esplosivo mafioso, non trovò altro da dire se non : “…….può anche darsi che sia una cattiva verbalizzazione” “può darsi che sia stata resa a verbale chiuso….”, “probabilmente si oppose (Buscetta) a che venisse verbalizzato….” e altre cose del genere.

Ma ciò che destò maggiore sconcerto fu la espressione giustificativa:……. “se non è stato verbalizzato non dipende da me…..”. Infatti, essendo state le dichiarazioni di Buscetta verbalizzate in quella circostanza soltanto da lui stesso, Consigliere Istruttore, e dal dott. Falcone, Giudice Istruttore, senza la presenza di altri, neanche del Cancelliere, volle forse dire che la mancata verbalizzazione della grave accusa del pentito nei confronti della Polizia palermitana, fosse stata colpa del dott. Falcone? Ma, qualora ciò veramente fosse accaduto, non sarebbe stato meglio tacere, così come avrebbe dovuto evitare di rendere di dominio pubblico il gesto dello sgradevole “strofinamento” delle mani sui pantaloni dopo una non certo imposta stretta di mano “sporca”?

Purtroppo “la freccia più richiamar non vale quando dall’arco uscì” e, nell’uno o nell’altro episodio, le frecce avvelenate venivano lanciate contro un uomo nel cui processo a carico molti sembravano gareggiare nel colpire con più forza e danno il bersaglio predisposto.

c) All’eccellentissimo dott. Bruno Contrada……firmato Caponnetto

Il 18 settembre 1984, Buscetta pentito riferì al dott. Caponnetto ed al dott. Falcone:

“Posso dire che a me risulta che a Palermo gli organi di polizia hanno fatto sempre il loro dovere.

Vorrei riferire, solo per completezza, un fatto che, a mio avviso, dimostra proprio quella che è la mia convinzione”.

Interrompo un attimo il discorso di Buscetta per attirare l’attenzione del lettore sulle espressioni “solo per completezza” e “dimostrare proprio quella che è la mia convinzione” che – se le parole hanno un significato da interpretare con un po’ di buon senso – il pentito narrò l’episodio soltanto per provare, ribadire e dare forza alla sua affermazione “gli organi di polizia a Palermo hanno fatto sempre il loro dovere”.

Ecco il fatto:

“Quando mi sono recato a Palermo in licenza durante il regime di semi-libertà, mi sono incontrato anche con Rosario Riccobono il quale mi disse che era opportuno che io non rientrassi a Torino e riprendessi il mio posto attivo in seno a “Cosa Nostra”.

– Soggiunse che potevo nascondermi nel territorio della sua famiglia e che non c’erano problemi che qualcuno venisse a cercarmi perché la Polizia non sarebbe venuta a cercarmi in quella zona. –

– Successivamente, quando mi allontanai arbitrariamente da Torino e tornai a Palermo, riferii il contenuto delle suddette affermazioni del Riccobono a Stefano Bontate ed egli mi rispose che il Riccobono era “sbirro” in quanto amico di Contrada della Polizia di Palermo” In sostanza Stefano Bontate gli disse: non dare retta a Riccobono, non seguire i suoi consigli e sollecitazioni perché quello è “uno sbirro” cioè uno spione, un delatore, un confidente della Polizia e, in particolare, ha rapporti di questa natura con il poliziotto Contrada.

Comunque il dott. Falcone, per scrupolo professionale, ritenne opportuno inviare il verbale alla Procura della Repubblica perché si accertasse la reale natura di tali rapporti adombrati dal Bontate nel suo incontro con Buscetta.

La Procura, essendo, in esito ad un’accurata indagine, risultata manifestamente infondata la “notizia criminis”, chiese all’Ufficio Istruzione di dichiarare impromovibile l’azione penale con la conseguente archiviazione degli atti; ciò che fece, il 7 marzo 1985, con la seguente motivazione: …..essendo risultata manifestamente infondata la notizia riguardante pretese tolleranze manifestate dal dott. Contrada nei confronti di Riccobono Rosario e di appartenenti alla sua “famiglia”, il che è tra l’altro smentito dalla documentazione acquisita dal P.M. nel corso delle preliminari indagini, che ha permesso di accertare un’intensa attività di P.G. svolta dal dott. Contrada nei confronti del Riccobono e della sua cosca.” –

Questo il fatto richiamato nel corso della testimonianza resa dal dott. Caponnetto il quale, però, affermò di non aver più seguito l’inchiesta di non sapere che esito avesse avuto in altri termini , non sapeva o ricordava che essa era stata archiviata dal suo stesso Ufficio Istruzione.

Senonchè io avevo conservato con cura una letterina, datata 18 maggio 1985, inviatami nel mio Ufficio di Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario, dal Consigliere Istruttore dr. Caponnetto. Era in una busta intestata all’Ufficio Istruzione del Tribunale indirizzata, con la dicitura “Personale – Riservata”, all'”Ecc.mo Dott. Bruno Contrada. S.G.M. – Nella busta c’era la fotocopia dell’ordinanza di archiviazione accompagnata da una letterina, intestata “Tribunale di Palermo – Ufficio Istituzione. Il Consigliere Istruttore” -, con manoscritto: Palermo 18/5/1985. Con i più cordiali saluti. Caponnetto.

La mia difesa esibì al testimone il documento che era la prova che il dott. Caponnetto era a conoscenza del provvedimento adottato dal suo Ufficio e si era premurato di farmene avere copia di sua iniziativa, a titolo di cortesia, dati gli ottimi rapporti intercorrenti tra noi in quel tempo.

Il Consigliere, avuta tra le mani la letterina, disse che non ne aveva ricordo, che evidentemente ero stato io a chiedergli copia del documento, probabilmente per telefono, e non di presenza, che egli me lo aveva inviato per cortesia.

Ho accennato agli ottimi rapporti avuti con il dott. Caponnetto nel periodo in cui lui ha diretto l’Ufficio Istruzione ed io quello del Gabinetto dell’Alto Commissario. Ho dato una scorsa alle pagine delle mie agende di ufficio degli anni 1983-84-85 ed ho trovato numerose annotazioni di incontri e telefonate, tra cui una emblematica “15 ottobre 1983 – telefonato al Cons. istruttore Caponnetto – tel. 055/473024 – Ufficio 055/651048 – Abitazione”. A quella data mancava quasi un mese dall’arrivo a Palermo (11 novembre) del Magistrato e, pertanto, l’appunto è significativo dell’instaurarsi dei nostri rapporti, non appena designato a capo dell’Ufficio Istruzione e prima ancora che ne prendesse possesso.

Egli, nel corso della testimonianza, ha parlato di rare occasioni di circostanza, rapporti saltuari e occasionali, minimizzando e banalizzando il tutto.

Eppure, proprio io chiesi ai miei avvocati di inserire il suo nome nella lista dei testimoni a difesa, nella previsione, andata purtroppo delusa, di una sua parola a mio favore.

d) I sospetti “de relato”

Il dott. Caponnetto ripetutamente e con decisione, riferì al Tribunale che mi stava giudicando, di sospetti, giudizi ed opinioni negativi su di me esternategli per varie occasioni dal dott. Falcone con dichiarazioni di questo tenore: “Falcone non aveva stima del dott. Contrada” “Falcone mi ha sempre chiaramente espresso i propri dubbi proprio sulla rettitudine e fedeltà del dott. Contrada” “impossibilità di fidarsi del dott. Contrada”.

Quando opportunamente gli fu chiesto se il dott. Falcone gli aveva riferito di fatti specifici per cui aveva maturato siffatte opinioni negative e nutrito sospetti, rispose di no e analogamente rispose alla richiesta di dire se lui avesse mai avuto modo e ragione di sospettare di me.

Ma come poteva il dott. Caponnetto conciliare le sue dichiarazioni testimoniali con ciò che disse in una intervista giornalistica del 9 marzo 1994 (io ero in Carcere già da 15 mesi) a Tony Zermo de “La Sicilia”? Infatti il giornale pubblicò un articolo il cui titolo era: “Contrada, l’accusa e la difesa. Caponnetto: “Su di lui mai avuto prove di collusione” e poi nel testo: – Dice Antonino Caponnetto, che fu “il padre” del pool antimafia -: “Su di lui, (Contrada n.d.r.) mai avuto prove di collusione. Non era simpatico a Falcone e forse questa antipatia poteva avere avuto origine da qualcosa, ma non più di tanto”.

Il periodo de “La Sicilia” è virgolettato il che, nella prassi giornalistica, significa che sono riportate esattamente le parole pronunziate dall’intervistato.

Il testimone negò di aver mai detto quelle cose a Tony Zermo , ma agli atti del processo non risulta inserita alcuna smentita né scritta né di altro genere.

Alla data del 19 maggio 1995, giorno della deposizione del testimone, né io né i miei avvocati Milio e Sbacchi avevamo letto il libro di Antonino Caponnetto “I miei giorni a Palermo – Storie di mafia e di giustizia raccontate a Saverio Lodato…..editore Garzanti”.

Il libro fu stampato e diffuso nel mese di ottobre 1992, cinque mesi dopo la strage di Capaci, due mesi prima del mio arresto. In esso non c’è il minimo riferimento o accenno alla mia persona, anzi non vengo citato né per il bene né per il male.

L’autore ricorda e narra avvenimenti, fatti, cose e uomini degli anni in cui fu a Palermo da capo dell’Ufficio Istruzione. Parla di Magistrati inquirenti e giudicanti, indicandone i nomi, di alcuni in termini elogiativi di altri in termini negativi. Parla anche di poliziotti come Gianni De Gennaro. Racconta degli ostacoli, delle amarezze, delle difficoltà, delle avversioni riguardanti la vita e l’attività del dott. Falcone.

Quando scrisse questo libro, il Magistrato Caponnetto, già circondato dall’aureola di “papà” del mitico pool antimafia, non era già depositario delle opinioni e dei giudizi decisamente negativi nonché dei sospetti nutriti nei miei confronti del dott. Falcone? Perché non li ha espressi, pechè non ne ha fatto neppure cenno. Non ricordava o forse temeva azioni giudiziarie per diffamazione non paventate, però, per quanto riguardava altri personaggi e tra questi noti e alti Magistrati di Palermo?

Io non so, non posso, non voglio dare una risposta all’interrogativo.

Io, ora, mi sento di dire e di affermare, soltanto, che sarebbe stato molto meglio per me, per lui ed anche per la memoria del Magistrato eroe caduto, che non fosse mai venuto a rendere testimonianza sul mio processo.