Il 23 dicembre 1992 il G.I.P. dott. Sergio La Commare, sulla scorta delle dichiarazioni dei “pentiti” Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Giuseppe Marchese e Rosario Spatola, accoglieva la richiesta della Procura del Tribunale di Palermo e firmava l’ordinanza che disponeva l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Bruno Contrada.
Ma i Pubblici Ministeri che indagavano su di lui si erano ben guardati dal raccogliere prove circostanziate, cioè fatti, e si erano affidati soltanto alle parole dei “pentiti”, che improvvisamente ricordavano e che, oltretutto, riferivano di notizie apprese, guarda caso, da persone decedute.
Era preciso dovere dei magistrati inquirenti raccogliere prove, tenendo in debito conto anche gli elementi favorevoli all’indagato (art.358 c.p.p.), essi invece si sono “accontentati”di quello che dicevano i pentiti, invocando la cosiddetta “convergenza del molteplice” : laddove la bugia di un pentito sommata alle bugie di altri pentiti forma la verità, sostenendo che essi (i pentiti) non hanno modo di comunicare tra loro. Ma ci siamo dimenticati forse che non solo alcuni pentiti avevano gli stessi avvocati, ma anche che i funzionari della D.I.A., attraverso lo strumento dei “colloqui” investigativi, incontravano continuamente i pentiti stessi e che di tali colloqui non rimaneva alcuna traccia!!
Ora è indispensabile fare una riflessione sulla personalità del nominato G.I.P. Sergio La Commare.
Quest’ultimo è quel magistrato che ebbe un procedimento disciplinare perché in un altro processo, sempre in funzione di G.I.P., aveva inviato un biglietto al collega della Procura, Giovanni Ilarda – biglietto che poi aveva dimenticato tra le carte del processo – nel quale scriveva:
“Caro Giovanni, ti rimetto le argomentazioni svolte dal difensore di Lombardo avverso la richiesta di proroga delle indagini, non per un parere che proceduralmente non è previsto, ma perché argomentare in senso contrario comporta l’attento esame del fascicolo che è ponderoso. Mi pare poi opportuno che voi ne abbiate conoscenza al fine di paralizzare future eccezioni di nullità. Ti sarei grato se volessi scrivermi informalmente due righe in modo da evitarmi una noiosa camera di consiglio”.
Questo scritto rivela con chiarezza quale sia la tempra e la professionalità di questo magistrato, che osava definire “noia” quello che era un suo preciso dovere.
A seguito di questo episodio il dott. La Commare subì un procedimento disciplinare da parte del C.S.M. che gli inflisse una censura e lo trasferì al Tribunale di Trapani. Tale provvedimento venne confermato dalla Corte di Cassazione, ma non si è capito come mai egli sia tuttora a Palermo in Corte d’Appello. ( In proposito cfr. Il giornale di Sicilia del 13.4.1995, del 16.11.96 e del 18.01.1998).
E pertanto è a dir poco inquietante che nell’ordinanza di custodia cautelare di Bruno Contrada, il dott. Sergio La Commare faccia riferimento al suo “ufficio” di giudice come se si trattasse di quello della procura e come se fosse stato lui a raccogliere indizi e prove che ripetutamente cita come acquisite dal suo ufficio. Sembra, cioè, che l’estensore dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere non sia stato lui, ma piuttosto un sostituto procuratore.
Ed infatti se si confrontano la richiesta di carcerazione preventiva, avanzata dalla Procura di Palermo, e la successiva ordinanza di applicazione di detta misura cautelare emessa dal sunnominato magistrato, in funzione di G.I.P. si vede che, ad eccezione della prima ed ultima pagina, esse sono uguali, addirittura con gli stessi errori di ortografia!!!
Perché si è voluto mettere Bruno Contrada in carcere, sottoponendolo ad una lunga e devastante carcerazione preventiva?
Il 31 luglio 1995 tale estenuante carcerazione finalmente ebbe fine, ma soltanto perché i giudici ebbero timore della reazione dell’opinione pubblica.
Mezza Italia, infatti, si era mobilitata in favore di Contrada ed il movimento dei “Giovani Liberali” e di altri partiti si apprestava ad organizzare una grossa manifestazione al compimento del millesimo giorno di carcerazione preventiva! La scarcerazione, negata a maggio, veniva concessa appena due mesi dopo, e ciò nonostante la relazione di perizia medico-legale concernente lo stato di salute di Bruno Contrada, secondo la quale non era opportuno interrompere lo stato di custodia cautelare in carcere, in quanto per il dott. Contrada “il regime di detenzione carceraria si configura fino ad oggi, paradossalmente, quale sistema di contenimento psichico” !!!
Probabilmente non immaginavano i magistrati di Palermo che Bruno Contrada ce l’avrebbe fatta a resistere a tante angosce ed umiliazioni.
Non avevano tenuto in debito conto che, negli uomini forti, le accuse ingiuste ed il desiderio di dimostrare la propria innocenza prevalgono su qualsiasi sofferenza!