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Parlo di Francesco Marino Mannoia, uno dei pentiti che mi ha accusato

Questi argomenti, sin dall’inizio della mia vicenda giudiziaria (Natale 1992), erano stati ampiamente e ripetutamente diffusi dai mass-media (quotidiani, periodici, televisione, radio) non soltanto nazionali ma anche esteri.

Il Marino Mannoia non può non esserne venuto a conoscenza ed ha pensato bene, quel 27 gennaio 1994, o qualcuno glielo ha fatto pensare, che anche lui dovesse dare un’autorevole conferma (non era egli un “pentito” di prima classe?) alle stesse accuse dei suoi colleghi, onde realizzare la “convergenza del molteplice”.

Che ciò sia vero, se ne ha conferma alla udienza del 29 novembre 1994, quando il Mannoia venne a testimoniare al mio processo. Egli confermò ciò che aveva riferito negli U.S.A. ai P.M. il 27 gennaio 1994 (rapporto con Riccobono – appartamento di Angelo Graziano) ma aggiunse una nuova accusa :essermi io interessato per fare avere la patente di guida a Stefano Bontate.

Perché non lo disse il 27 gennaio 1994? Non lo disse perché ancora non lo aveva detto un altro pentito, il mafioso Cancemi Salvatore. Questi fu sentito al mio processo in Tribunale all’udienza del 28 gennaio 1994, cioè dopo il 27 gennaio 1994 (interrogatorio di Mannoia in U.S.A.) e prima del 29 novembre 1994 (testimonianza di Mannoia in Tribunale).

Solo in questa sede Mannoia può parlare della patente di Stefano Bontate e ne parla, con pedissequo adeguamento, per dare conferma all’accusa del Cancemi, così come aveva fatto per Mutolo, Spatola e Buscetta.

Questi sono i sistemi e i meccanismi del “pentitismo” qualora non opportunamente e correttamente controllato e gestito. Un pentito enuncia un’accusa, un altro pentito la ripete, un altro ancora la conferma e così via.

In tal modo si ottiene “la convergenza del molteplice” o la “molteplicità convergente” e si raggiunge finalmente la prova di cui all’art. 192 c.p.p.- Che poi l’accusa abbia valore zero e parimenti la ripetizione e la conferma, a nulla vale.

Zero più zero più zero non fa zero, ma 1 o 2 o 3……

L’ignoranza della più elementare aritmetica utilizzata per l’assurdo teorema giudiziario……..

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Solo allo scopo di far conoscere all’ignaro lettore, non “addetto ai lavori” il modo di comportarsi dei collaboratori di giustizia, riporto un passo del verbale dell’udienza del 29 novembre 1994 di cui ho sopra parlato.

* Parla Mannoia:”…..quando mi fu chiesto (dai Magistrati della Procura di Palermo n.d.r.) se sapevo qualcosa sul conto del dott. Contrada, io quasi quasi stavo dicendo, scusate alla Corte, “vaffanculo!”

Aveva prima ricordato che l’interrogatorio su altri argomenti si era concluso all’una di notte ed egli era stanco, stressato, sfinito.

Naturalmente fu rimproverato dal severo Presidente :”Lei cerchi di usare dei termini consoni al posto ove lei si trova” (pag.40 verb. Ud. 20.11.1994). *

La Corte di Appello di Palermo – 2^ Sez. Pen. – presieduta dal dott. Gioacchino Agnello, dopo aver letto i motivi di appello avverso la sentenza di condanna, in accoglimento della richiesta della mia Difesa, che aveva messo in risalto l’anomalia del comportamento del “pentito”, sia nella fase delle indagini preliminari sia nel dibattimento processuale, decise di sentire anche nel processo di appello il Marino Mannoia che fu chiamato all’udienza del 20 maggio 1999.

Occorre ora riportare alcuni concetti espressi dal collaborante, con termini inequivocabili, nel corso della sua deposizione al primo processo di appello. Essi sono di notevole valore ai fini della interpretazione e valutazione da attribuire alle propalazioni dei pentiti, specie se “de relato”.

*……..qua si parla di due fatti molto delicati perché il dott. Bruno Contrada, con tanto rispetto per questa persona, non è che è tanto di meno dell’onorevole Andreotti, perché il 2 si parla di Contrada, il 3……..così dicendo che è un funzionario della Questura di Palermo, il 3 si parla di Andreotti.

A distanza di tempo si ritorna a parlare del dott. Contrada. Sono due personaggi abbastanza illustri per quanto riguarda la struttura dello Stato e quindi questa situazione non è che mi fa tanto onore a ricordare solo che è un funzionario della Questura di Palermo e a distanza di mesi ricordarmi di alcuni fatti che avevo sentito da Bontate e via discutendo. Ma questa per me è la mia verità, poi spetta alla S.V. stabilire se è o non è la verità”. (pag.15 verbale udienza 20.05.1999 – processo di appello –II Sez..Pen.Corte Appello Palermo)

* A me personalmente il dott. Contrada non mi ha favorito, personalmente a me non mi ha agevolato in niente, io non l’ho mai conosciuto fisicamente nel senso che siamo stati a contatto insieme. Io quello che ho sentito dagli altri ho riferito, non ho niente contro il dott. Contrada e mi auguro che tutto quello che ho sentito fossero chiacchiere e questa persona sia riabilitata con tutta la dignità……..” (pag.22 verbale udienza 20.05.1999 – processo di appello –II Sez.Pen. Corte Appello Palermo)

* E siccome è capitato, signor Presidente, io devo dire la verità, perché non sono qui………, mi sono stancato, sono passati 10 anni e non mi va ancora di presentarmi in aula e continuare ancora con questa storia che mi sembra la storia infinita, mi scusi signor Presidente, le chiedo perdono per queste mie parole. Non è che tutto quello che dicono in “Cosa Nostra” sia sempre oro colato o sia l’onestà in persona per chi parla”.

Alla obiezione od osservazione del Presidente:”Non c’è l’obbligo di dire la verità in Cosa Nostra?”

Marino Mannoia esclama:

* Ma quale obbligo, finiamo con queste chiacchiere, l’obbligo è a convenienza”. (pag.25 verbale udienza 20.05.1999 – processo di appello –II Sez. Pen. Corte Appello Palermo)

* Ora non è che voglio dire che Bontate mi diceva sempre la verità oppure a volte Bontate mi mentiva, ma certamente per qualsiasi essere umano che faccia parte di questa organizzazione è palesemente chiaro che è villantoso vantarsi di amicizie altolocate, specie se possono essere che riguardano, che siano all’esterno della struttura e che appartengono alle istituzioni”. (pag.32 verbale udienza 20.05.1999 – processo di appello –II Sez. Pen. Corte Appello Palermo)

* ………..perché se un collaboratore è infame e dice una qualcosa a volte è difficilissimo poter risalire alla verità se non vi sono veramente dei riscontri che lo possono smentire. Quindi il collaboratore a volte può diventare un infame pericolosissimo ma per fortuna ci sono bravi avvocati, bravi procuratori e in special modo bravissimi presidenti che gestiscono le dichiarazioni”. (pag.33 verbale udienza 20.05.1999 – processo di appello –II Sez. Pen. Corte Appello Palermo)

* Io ho saputo dopo la scomparsa di Saro Riccobono, perché prima non lo dicevano, ho saputo che Rosario Riccobono era confidente di Contrada”. (pag.21 verbale udienza 20.05.1999 – processo di appello –II Sez. Pen. Corte Appello Palermo)

In sintesi, il Marino Mannoia ha dichiarato:

  • di non sapere nulla, per cognizione diretta, del dott. Contrada con il quale non ha avuto mai alcun rapporto;
  • le cose che ha riferito, anzi alle quali ha accennato, sul dott. Contrada le ha sapute “de relato”, cioè da Stefano Bontate, il quale evidentemente non può né confermare né smentire essendo morto sin dal 1981;
  • che non è vero che quando un mafioso riferisce o confida ad un altro mafioso qualcosa dice e deve dire sempre la verità; quindi non può giurare che Bontate stesso o altri abbiano detto cose vere;
  • che è difficile smentire un collaboratore mentitore e calunniatore a meno che non vi siano sicure prove in contrario;
  • che negli ambienti di mafia circolava la voce che Rosario Riccobono era un “confidente” del dott. Contrada;
  • che le cose da lui riferite sul dott. Contrada si rivelassero soltanto chiacchiere e che lo stesso fosse quindi scagionato “con tutta la dignità”.