E’ necessario dire ancora qualcosa di questo emblematico personaggio giudicato talvolta “fonte di verità!, talvolta “emerito bugiardo”. Ciò perché tanti cittadini italiani – credo purtroppo la maggior parte – non conoscono le vicende relative alla mafia e all’antimafia, la cui conoscenza resta, spesso o quasi sempre, limitata agli “addetti ai lavori”………..
Quante persone sanno che il sig. Francesco Marino Mannoia, nel corso di un processo svoltosi dinanzi alla Corte di Appello di Caltanissetta, ebbe l’ardire di affermare :” Il giudice Rocco Chinnici era nelle mani della “famiglia mafiosa di Misilmeri”?
Il Consigliere istruttore Rocco Chinnici fu massacrato – come noto – insieme con la sua scorta nell’attentato dinamitardo del 29 luglio 1983 in via Pipitone Federico a Palermo.
Riporto qui di seguito la dichiarazione resa in proposito dall’avvocato Crescimanno, legale di parte civile nel processo per la strage : “E’ una dichiarazione assolutamente incredibile. In un panorama in cui i collaboratori hanno parlato di tutto e di tutti, e non sempre a proposito, di Chinnici hanno sempre segnalato l’assoluta inflessibilità e linearità nella conduzione del suo lavoro”. (cfr. articolo sul Giornale di Sicilia del 15 giugno 2000, siglato R.Ar. intitolato “Da Marino Mannoia veleni su Chinnici”
Qualcuno si è posto la domanda del perché il Mannoia, pentito di “prima categoria” sin da ottobre del 1989, soltanto undici anni dopo (giugno 2000) fa la devastante rivelazione sul Giudice assassinato dalla mafia? Perché se ha osato infangare a tal punto la memoria di un Caduto nella lotta contro la mafia non è stato perseguito, privato del programma di protezione e del lauto stipendio statale e ricacciato nella patrie galere?
Non risulta che alcuno (familiari, magistrati, servizio protezione pentiti etc.) abbia intentato azioni giudiziarie contro il calunniatore.
Narro, tra i tanti, un altro significativo episodio riguardante “mozzarella”.
Nel 1994, dinanzi la 1^ Sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta dal dott. Salvatore Scaduti, si svolse il processo a carico di mafiosi, di cui alcuni di rilevante spessore criminale quali Michele Greco, Giovan Battista Pullarà, Salvatore Lo Piccolo etc.., accusati dal pentito Mannoia della rapina avvenuta nel 1978 al campo di tiro a volo dell’Addaura di Palermo.
Gli imputati, sia boss che gregari, furono tutti assolti. (cfr. “Giornale di Sicilia 10 ottobre 1994 pag.7). Nella sentenza fu scritto :
” Diverse incongruenze logiche e fattuali che indubbiamente non depongono per la formulazione di un giudizio di piena e indiscussa attendibilità del collaborante”.
Ma di immensa rilevanza è il monito con il quale si chiuse la sentenza di assoluzione :
” Si pensi a quanto rischiosa e insicura sarebbe un’affermazione di responsabilità nei confronti di un chiamato, qualora il chiamante, proprio perché effettivo esecutore del delitto, sia in grado di fornire una ricostruzione dettagliata e riscontrata del fatto e tuttavia indichi tra i suoi complici anche ed esclusivamente degli innocenti”.
Il chiamante era Francesco Marino Mannoia.
Il Giudice che emanò la sentenza era il dott. Salvatore Scaduti, Presidente della 1^ Sezione Penale della Corte di Appello di Palermo che ha confermato la sentenza di condanna a mio carico.
Nella sentenza, in corso di elaborazione, cosa si dirà di Francesco Marino Mannoia, uno dei miei accusatori?
Non posso non ricordare sull’argomento, infine, ciò che il Mannoia, nel corso del processo di primo grado, ha compiuto nei confronti del dott. Vincenzo Speranza che per molti anni era stato al mio fianco alla Squadra Mobile di Palermo ed attualmente è ancora impegnato in prima linea nella lotta contro la criminalità, quale Questore di Reggio Calabria.
Egli è uno dei più valorosi e integerrimi funzionari di polizia che io abbia conosciuto.
Quando fui arrestato, a Natale del 1992, era dirigente della Squadra Mobile di Catania, con accenti accorati e indignati dichiarò alla stampa :” Ma quali rapporti con la mafia. Conosco Bruno Contrada da circa venti anni e so quale è il suo spessore di uomo e di poliziotto. Ho lavorato con lui alla Squadra Mobile di Palermo e non credo alle accuse lanciate dai pentiti contro un uomo che ha fatto della lotta alla mafia uno dei suoi scopi di vita”. (cfr. Giornale di Sicilia – 4 gennaio 1993 – articolo di A.V. “Catania, parla il capo della Mobile “Contrada mafioso ? E’ assurdo”.)
Allora, nel leggere quell’articolo, temetti che Enzo Speranza avrebbe pagato il suo leale e coraggioso comportamento.
Accadde, poi, un fatto incredibile e imprevedibile : Marino Mannoia alla udienza del 29 novembre 1994 del mio processo in Tribunale accusò il dott. Speranza di essere amico del capomafia Stefano Bontate nonché di atti di corruzione e favoreggiamento di mafiosi (lui stesso, Mannoia).
Questa accusa, infondata e infame, fu lanciata contro il funzionario di polizia, allora dirigente del Centro Criminalpol della Sicilia orientale, un mese prima che lo stesso, citato a difesa, venisse in udienza a testimoniare. Il dott. Speranza rese la sua testimonianza al mio processo quale indagato di reato connesso, essendo inquisito anche lui per concorso esterno in associazione mafiosa, appunto per le accuse del delinquente pentito.
Il dott. Speranza potè provare che il fatto di favoreggiamento e corruzione di cui l’aveva incolpato il Mannoia sarebbe avvenuto due anni dopo il suo trasferimento da Palermo. La sua posizione giudiziaria fu archiviata.
Potrei raccontare ancora qualche cosa di Marino Mannoia ma non posso abusare troppo della pazienza del lettore il quale, a questo punto, sarebbe più che giustificato se pensasse che nel mio animo nutra risentimento, astio o rancore nei confronti del delinquente – mafioso – pentito – calunniatore di cui ho parlato.
Ma non è così : sarebbe inutile e sciocco prendersela con le armi che vomitano piombo o fango.
La colpa ricade su chi possiede, maneggia e usa male o maldestramente i micidiali strumenti di morte fisica o morale : armi da fuoco o pentiti!
Concludo qui il mio discorrere su Marino Mannoia che ha contribuito, con le sue propalazioni menzognere e calunniose, alla mia sofferenza giudiziaria e mi ha privato, in ultimo, di un piacevole incontro con il mare.
Chissà se, avendo la ventura di leggere ciò che ho scritto, spontaneamente o su suggerimento altrui, non gli sovvenga qualche altra cosa su di me, quale per esempio l’aiuto prestatogli nell’impastare un pentolone di eroina o nello stendere a terra, a fuoco incrociato e ripetuto, qualcuno dei venti, più o meno, uomini da lui “stutati”.*
Bruno Contrada
* In siciliano “stutato” significa ucciso.